Obiettivo 2020 (una risposta)
Tento una prima risposta (labile e parziale) alle domande precedenti.
A mio parere l’informazione del 2020 non abbandonerà il modello attuale (qualcuno paga per essere informato, qualcuno paga per fare pubblicità sui mezzi di informazione, qualcuno viene pagato per informare). Le proporzioni saranno però ricalibrate: le molte persone che saranno disposte a pagare per essere informate saranno in minor numero e, di conseguenza, ci saranno meno persone che potranno essere pagate per informare.
Giornali e televisioni continueranno ad esserci, ma le nuove tecnologie trasformeranno radicalmente gli strumenti tradizionali a cui siamo abituati (non è un caso che anche i gruppi editoriali locali, pur con differenze notevoli, si stiano attrezzando per il web) e l’informazione diffusa (offerta da cittadini che spontaneamente offriranno informazioni, non a pagamento) sarà assai maggiore, erodendo il tradizionale bacino di competenze dell’informazione professionale.
Con un minor numero di risorse economiche a cui attingere, i giornalisti professionisti dunque saranno in minor numero, rispetto al passato e probabilmente anche rispetto ad oggi. Le avvisaglie di questa tendenza ci sono già e consistono nella assunzioni con il contagocce di nuovi giornalisti, abbinata al ridimensionamento delle testate storiche (La Provincia ha appena concordato tre prepensionamenti e in un passato recente il Corriere di Como ha diminuito la forza lavoro giornalistica rispetto a quando era sorto e anche L’Ordine, che pure è segnale positivo essendo un giornale avviato ex novo, ha limitato al minimo i professionisti in organico).
Non basta. I nuovi assunti sono retribuiti in quantità e qualità assai più contenuta rispetto ai loro colleghi più anziani. Ciò è un bene per i gruppi editoriali, che risparmiano sul costo del lavoro (la voce che incide più sul bilancio aziendale), ma comporta seri rischi per quanto attiene la qualità dell'informazione.
Riassumendo: un quadro realistico dell'informazione professionale anche a Como tra dieci anni potrebbe consistere in pochi giornalisti, con una retribuzione pari a quella di comuni impiegati.
Il rischio è quello di una deriva negativa, poiché pochi giornalisti pagati male produrrebbero scarsa e cattiva informazione, per cui ci sarebbero ancora meno persone disposte a pagare per riceverla, i ricavi scenderebbero e si innesterebbe un circolo vizioso da cane che si morde la coda e muore di fame.
Una situazione, insomma, che allarma sia i giornalisti, sia i gruppi editoriali seri, e che dovrebbe preoccupare anche i cittadini, esercitando l'informazione quella funzione di controllo e contrappeso sulle varie forme di potere, politico ed economico (che sia davvero così non è per nulla scontato e il discorso merita un capitolo a parte).
Come se ne esce, allora? Quali contromisure, quali rimedi, quali attenzioni e atteggiamenti elaborare per evitare questa deriva?
A mio parere è necessario un patto o quantomeno un'ideale comunanza di intenti tra giornalisti ed editori affinché il peggio sia evitato.
Ciò si potrebbe tradurre nella rinuncia, da parte dei giornalisti, di alcune pretese da "casta", dannose per i bilanci e che "inflacidiscono" i giornalisti stessi. A fronte di questa rinuncia dovrebbe però corrispondere fermezza ferrea nel fare in modo che il numero di giornalisti non venga costantemente limato e che la contribuzione sia degna della funzione che si svolge.
A mio parere l’informazione del 2020 non abbandonerà il modello attuale (qualcuno paga per essere informato, qualcuno paga per fare pubblicità sui mezzi di informazione, qualcuno viene pagato per informare). Le proporzioni saranno però ricalibrate: le molte persone che saranno disposte a pagare per essere informate saranno in minor numero e, di conseguenza, ci saranno meno persone che potranno essere pagate per informare.
Giornali e televisioni continueranno ad esserci, ma le nuove tecnologie trasformeranno radicalmente gli strumenti tradizionali a cui siamo abituati (non è un caso che anche i gruppi editoriali locali, pur con differenze notevoli, si stiano attrezzando per il web) e l’informazione diffusa (offerta da cittadini che spontaneamente offriranno informazioni, non a pagamento) sarà assai maggiore, erodendo il tradizionale bacino di competenze dell’informazione professionale.
Con un minor numero di risorse economiche a cui attingere, i giornalisti professionisti dunque saranno in minor numero, rispetto al passato e probabilmente anche rispetto ad oggi. Le avvisaglie di questa tendenza ci sono già e consistono nella assunzioni con il contagocce di nuovi giornalisti, abbinata al ridimensionamento delle testate storiche (La Provincia ha appena concordato tre prepensionamenti e in un passato recente il Corriere di Como ha diminuito la forza lavoro giornalistica rispetto a quando era sorto e anche L’Ordine, che pure è segnale positivo essendo un giornale avviato ex novo, ha limitato al minimo i professionisti in organico).
Non basta. I nuovi assunti sono retribuiti in quantità e qualità assai più contenuta rispetto ai loro colleghi più anziani. Ciò è un bene per i gruppi editoriali, che risparmiano sul costo del lavoro (la voce che incide più sul bilancio aziendale), ma comporta seri rischi per quanto attiene la qualità dell'informazione.
Riassumendo: un quadro realistico dell'informazione professionale anche a Como tra dieci anni potrebbe consistere in pochi giornalisti, con una retribuzione pari a quella di comuni impiegati.
Il rischio è quello di una deriva negativa, poiché pochi giornalisti pagati male produrrebbero scarsa e cattiva informazione, per cui ci sarebbero ancora meno persone disposte a pagare per riceverla, i ricavi scenderebbero e si innesterebbe un circolo vizioso da cane che si morde la coda e muore di fame.
Una situazione, insomma, che allarma sia i giornalisti, sia i gruppi editoriali seri, e che dovrebbe preoccupare anche i cittadini, esercitando l'informazione quella funzione di controllo e contrappeso sulle varie forme di potere, politico ed economico (che sia davvero così non è per nulla scontato e il discorso merita un capitolo a parte).
Come se ne esce, allora? Quali contromisure, quali rimedi, quali attenzioni e atteggiamenti elaborare per evitare questa deriva?
A mio parere è necessario un patto o quantomeno un'ideale comunanza di intenti tra giornalisti ed editori affinché il peggio sia evitato.
Ciò si potrebbe tradurre nella rinuncia, da parte dei giornalisti, di alcune pretese da "casta", dannose per i bilanci e che "inflacidiscono" i giornalisti stessi. A fronte di questa rinuncia dovrebbe però corrispondere fermezza ferrea nel fare in modo che il numero di giornalisti non venga costantemente limato e che la contribuzione sia degna della funzione che si svolge.
Mi sembra una ricostruzione troppo ottimista quando dici che l'informazione tra dieci anni non avrà abbandonato il modello attuale; e troppo pessimista quando dici che pochi giornalisti pagati male produrrebbero cattiva informazione.
RispondiEliminaIl punto nodale mi sembra essere che in futuro si faranno cose molto diverse, non che si faranno di meno le cose che oggi si fanno.
E poi: quello che oggi chiamiamo "giornalismo" è in realtà una serie di attività molto diverse tra di loro, che sono diversamente influenzate dai nuovi mezzi. Una riflessione interessante potrebbe essere: quali parti di ciò che oggi chiamiamo "giornalismo" sono destinate a scomparire? Quali invece sono destinate a potenziarsi anche senza la carta? Per esempio, io vedo malissimo l'attività di desk, ma vedo molto bene l'indagine; vedo malissimo la redazione che decide ogni giorno quali sono le notizie "importanti", ma vedo molto bene il giornale come centro di aggregzione sociale della sua comunità nel territorio.