Futuro dell'informazione (un anno e mezzo fa)

Sempre a proposito di "State of the Net", sono andato a rivedermi gli appunti che avevo preso un anno e mezzo fa e mi sono ricordato di un altro intervento interessante.
Per la precisione, questo è il video.
Mentre quello che segue è un resoconto sintetico che avevo a suo tempo stilato:

Marco Formento: Luca De Biase sostiene che la pubblicità su Internet non continuerà a crescere a due cifre come avviene in questi anni. C’è un altro elemento.Se io ho piccolo quotidiano locale (geo-referenziato), che vende 50 mila copie, ho un giro di affari di 40 milioni di euro. Pago 200 persone, genero economia su territorio. Cosa che su Internet non succede: se io ho 50 mila lettori, il massimo che posso permettermi è offrire una cena all’anno.
Mario Tedeschini Lalli: Nessuno sa se andiamo tutti a casa. È uno degli scenari possibili. Una delle condizioni per cui non si verifichi è che il giornalismo professionale possa fare una differenza più di quanta ne faccia oggi. Il timore è che possa non bastare: è condizione necessaria ma non sufficiente.In America ogni “occhio” che vede pubblicità in Internet vale 5 centesimi.
Marco Formento: C’è uno studio che afferma che ci vorranno 20 anni prima che la forbice tra “paio d’occhi” pubblicità Internet e “paio d’occhi” pubblicità carta.
Luca De Biase: Domanda di Gaspar Torriero è sensatissima: a chi credo? Giornalisti al servizio mio, cittadino e lettore, o dell’azienda per la quale lavorano?Domanda sensatissima se la premessa è la sua, cioè: la pubblicità è il fine e l’informazione soltanto lo strumento con cui si abbindola la persona per convincerla a vedere la pubblicità.Mia ipotesi invece è questa: esistono diverse piattaforme organizzative, tecnologiche e tutti possono contribuire per fare un’informazione migliore.C’è necessità a mio parere di un’informazione pubblica (nel senso che renda pubbliche le cose, che le faccia conoscere, come fanno i giornali, sia sulla carta sia on line). Qualcuno ha pagato il giornalista per informarsi, sapere, comunicare.La carta costa molto, ma è comoda, non si rompe se cade per terra, non ha bisogno di batterie, dura un certo tempo e ha una sua qualità, ma al pari dell’on line è resa giornale da un’organizzazione, che è popolata di persone: quanto indipendenti e quanto eterodirette non possiamo oggettivamente saperlo.Io propongo:primo: che si immagini, che si ipotizzi una re-definizione delle relazioni tra pubblico attivo e giornalisti/giornali professionali, partendo dal fatto che tutti siamo persone,secondo: ci sono piattaforme più adatte a una cosa o all’altraterzo: un’ipotesi di alleanza strategica tra le strutture che fanno informazione a favore dei cittadini, a favore del bene pubblico, contro il sistemo di strumentalizzazione delle persone che viene fatto in altri casi (compreso l’intrattenimento)
Stefano Vita: Registro questo conflitto riferito agli editori, contrapposti a giornalisti accusati di non dipendenza. A me, in maniera “talebana” mi piacerebbe che ci fosse anche un lettore, che faccia pressioni sull’editore, affinché capisca.Problema dei contributi pubblici: non esiste forse un dovere maggiore, una maggiore responsabilità per chi li riceve?
Mario Tedeschini Lalli: Una novità significativa è l’accordo interno trovato nella scorsa primavera a Repubblica, tra editore e dipendenti, che di fatto elimina la distinzione tra redazione per la carta stampata e l’edizione on line. Come si organizzeranno ne stanno ancora discutendo.La difficoltà maggiore per i giornalisti è di capire che l’interazione con il pubblico non è soltanto la lettera al direttore moltiplicata per due milioni. È qualcosa di più, anche se non si sa bene che cosa. Attenzione però ai falsi miti. Siamo sicuri che tutti quelli che comunicano in rete lo facciano su una base di rispetto. La mia esperienza mi dice il contrario e non solo nei confronti dei giornalisti. Ci sono delle zone della rete dove non esiste dibattito, né discussione, bensì soltanto insulto.
Intervento dal pubblico: Esempio di Trieste, editore quotidiano on line: i contatti riguardano non approfondimento, bensì cronaca, nomi dei morti e così via. Sesso e morte sono un “motore” non indifferente e ciò spiega perché i siti di Corriere e Repubblica si ostinano a pubblicare immagini di donne nude. All’estero succede, ma esistono tabloid appositi.
Marco Formento: in Italia ci sono i free press che stanno adempiendo a questa funzione. Teniamo però presente che se in Italia si legge 10, in Germania si legge 60, e lo stesso vale per ogni nazione oltre Chiasso. La cosa più interessante è cercare di guardare alla società in cui viviamo e dove il tessuto sociale è povero è povera anche l’offerta di informazione.Non c’è un codice condiviso di valori da discutere, non soltanto accettare.Unica pubblicità terribile (e che infatti funziona) è quella televisiva.La pubblicità su Internet: siamo passati dallo 0.8% al 4% del fatturato nazionale e se arriveremo al 10% nel 2010 sarà anche possibile pensare di “restare sul mercato”.A parte il Wall Street Journal, che ha 700 mila abbonati, pochi sono i casi di quotidiani on line che si reggono sulle proprie gambe. Prendiamo il caso Corriere della Sera: fonti ufficiose dicono che hanno 5 o 6 mila abbonati on line. Niente. Soprattutto se paragonati a 5 milioni di lettori.
Enrico Menduni: L’informazione non è un’insieme di notizie, ma forse in un giornale la prima cosa che compriamo è la gerarchia delle notizie e il mosaico della pagina, come viene “firmata” da una fonte giornalistica di cui generalmente ci fidiamo. Poi ci interessa il commento, poi cosa pensa quel giornale, come le approfondisce e ci interessa per “rimpastare” il tutto con le nostre opinioni, in modo da sostenere una conversazione decente nell’ambiente in cui viviamo. Questo è molto di più di una fornitura di notizie.Non dimentichiamo poi l’impatto “visual”, della tv, che intreccia informazione e spettacolo.Antonio VanuzzoImportanza della cross-medialità, cioè dell’offerta di più media.
Gaspar Torriero: Servizi tg con fondo musicale, si confonde l’informazione con l’intrattenimento.
Luca De Biase: Tre punti di accordo.Primo la distinzione giornali – blog è vecchia. Non spiega abbastanza cosa vogliamo effettivamente trovare. Non funziona più. La categoria distintiva più utile è quella informazione professionale – informazione di mutuo soccorso.Secondo: le piattaforme sono sistemi per accedere alle cose e far partecipare le persone. Le piattaforme sono in competizione, c’è stata un boom di innovazione sulla carta.Terzo: il pubblico attivo può influire attivamente poiché pone i giornali professionali in situazione di concorrenza, e quindi impone di tenerne conto e adeguarsi. Il pubblico attivo deve però darsi consapevolezza dell’importanza che ha e dello sviluppo che può avere. L’avversario sono le forme di manipolazione dell’informazione.

Commenti

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  2. Visto che ti dai all'amarcord credo che i numeri espressi in questo post possano essere utili alla discussione
    http://marcomiglia.blogspot.com/2009/03/quotidiani-che-danno-i-numeri.html

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